La mia #RagazzaDell'Est
A Venezia nel '75, le "mamme" portavano terribili loden tristi, meches, trucco pesante e cerchiello di velluto erano di rigore, ed io sognavo di avere una mamma "normale", bruttina e ordinaria come tutte le altre. La mia,giovanissima, era alta, magra come un chiodo, due gambe chilometriche, sedere piccolo e fianchi stretti, il tutto carrozzato da una marmoreo apparato mammario della sesta misura e da lunghi capelli ramati che scendevano fino a metà schiena; non si truccava, era sportiva, frequentava tutti con il sorriso negli occhi,donne, uomini, ricchi e poveri ( già, erano gli anni '70) senza mai fare differenze. La nostra casa di Cannaregio era sempre piena di gente, Sergio e Marco studenti dello Iuav, vicini del piano di sopra, le loro fidanzate; Wally e Bruno, veneziani, con il loro gatto Mona, che ogni tanto si lanciava dal terzo piano irretito dall'odore di pesce della trattoria di sotto, da loro andavo a fare puzzles da 25.000 pezzi e a guardare Dolce Remì sulla tivù a colori. Poi c'era Amelia, la nostra vicina siciliana che lavorava all'Arsenale per la Difesa, romantica e segretamente innamorata di un Conte Morosini, con cui mangiavamo le sarde ripiene alla siciliana. All'ultimo piano, quasi una comune, abitavano undici studenti, alcuni dentro alle tendine canadesi, Kim, inglese, arrivata da poco e fidanzata con un sardo daltonico dalle lunghe ciglia, Francesco, brigatista, che teneva ripetizioni di scuola al mio amico Marcello dicendogli che sua madre era una stronza capitalista e il giorno del rapimento di Moro è sceso a salutarci levando in alto il pugno chiuso. Poi c'erano i parenti, tantissimi, della famiglia allargata di mia madre, nonne e nonni, zie e zii, cugini di primo, secondo, terzo grado, i vicini di casa di mia nonna a Skopje, la bella amante ungherese di mio nonno che veniva a comprare finti pizzi di Burano da rivendere alle bifolche in Vojvodina ( un genio del commercio, ha comprato tre case, nella Iugoslavia comunista, grazie a pizzi, trine, bambole orribili ed orologi a cucù).
Poi c'erano le amiche di mia madre, i loro figli, i miei compagni di scuola che venivano entusiasti a giocare a "casetta", con tavoli e coperte nel soggiorno. A casa mia si leggeva molto, non c'erano libri proibiti, erano gli anni di Porci con le ali e, Rocco e Antonia ed i loro "cazzo cazzo cazzo" facevano parte della mia vita bimbina assieme alle amorali donne di Moravia e alle copie di Panorama e dell'Espresso che ci passavano gli amici Angelini, adorabili socialisti gourmand.
Le anziane signorine Ballarin del primo piano, avevano una casa enorme, dai soffitti bassissimi, dove l'odore del brodo in dado la faceva da padrone, tra barocchetti di Cerea, rosari e quadretti kitsch, sgridavano sempre mia madre, anche il giorno in cui si mise ad attaccare la corda per la biancheria a cavalcioni della finestra del corridoio, le gridavano " ma no ea gà un omo par far ste robe? " , non potevano sapere che l'uomo c'era ma vestiva abiti di sartoria che non sgualciva mai e si faceva portare il "boccolo" della Sensa da un facchino che lo precedeva.
Mio padre, tornato a casa, si spogliava del suo laccatissimo aspetto e passava notti intere a parlare e fumare con mia madre al tavolo della cucina, parlavano per ore, ridevano, avvolti da nubi di fumo e amore e qualche scarso pezzo culinario preparato da mia madre; si bastavano, si amavano, li trovavo noiosi.
Giuseppe Boscaro junior aka Jason Bolkano è un’esperto di arte e antiquariato, convertito al WEB 2.0. In rete la sua anima un po’ barocca, un po’ illuminista ha intrapreso la via di Instagram per raccontare la città più "raccontata" del mondo. Iger e blogger appassionato, grazie alla profonda conoscenza della città e della laguna, crea percorsi inaspettati alla scoperta di Venezia . Consulenti d’eccellenza i suoi 4 gatti, rigorosamente veneziani. Parla veneziano, italiano, serbo e inglese.